COS’È
La neuropatia ottica ereditaria di Leber
(LHON), riconosciuta per la prima volta da Von Graefe e Leber circa 150 anni
fa, è una malattia familiare a trasmissione materna caratterizzata da una
riduzione bilaterale acuta o subacuta della visione centrale che si manifesta
più di frequente in giovani adulti di sesso maschile altrimenti in buone
condizioni di salute. La trasmissione attraverso donne sane e la prevalenza nel
sesso maschile è stata notata nella maggior parte delle famiglie e ha
fortemente suggerito un errore nel genoma del DNA mitocondriale (mtDNA).
Attualmente tre mutazioni patogenetiche primarie nelle posizioni 11778/ND4,
3460/ND1 e 144484/ND6 sono
riconosciute come causa della gran parte dei casi familiari e sporadici
di LHON nel mondo. Una quarta mutazione nella posizione 14459/ND6 è
patogenetica per la variante fenotipica LHON/distonia/malattia di Leigh.
CARATTERISTICHE CLINICHE
La LHON è responsabile dallo 0.42 al 2% dei casi di
invalidità visiva. Il rapporto M:F è di circa 4:1. L’età media di esordio è
di 25-26 aa per gli uomini e di 27-29 aa per le donne, sebbene siano noti casi
a esordio infantile o al di sopra dei 60 aa.
La malattia generalmente non ha sintomi
prodromici, presentandosi con un annebbiamento monoculare che evolve poi in
modo acuto o subacuto e senza dolore in severo deficit visivo centrale. In rari
casi la malattia può avere un decorso lentamente progressivo. Nel 40-50% dei
casi l’esordio nei due occhi è simultaneo mentre nei rimanenti casi
l’intervallo di coinvolgimento tra i due occhi varia da settimane ad anni (fino
a 8) con una media di 2.0 mesi. La neuropatia tipicamente progredisce per
circa 3 mesi (media 3.46 mesi) e nel 79% dei soggetti l’acuità visiva si
riduce fino alla sola conta delle dita variando dai 20/50 alla non percezione
luminosa.
Inizialmente l’esame del campo visivo può
evidenziare solo lievi alterazioni sotto forma di allargamento della macchia
cieca con scotoma relativo che tende verso l’area di fissazione; nelle
settimane successive però lo scotoma centrale relativo diviene assoluto e di
maggiori dimensioni estendendosi nel 67% dei casi oltre i 20 gradi centrali.
Altri segni di disfunzione del nervo ottico nella fase acuta della malattia
sono la presenza di discromatopsia sull’asse rosso-verde e l’alterazione dei
potenziali visivi evocati in forma di ridotta ampiezza e aumento della latenza.
Tipicamente le pupille reagiscono in modo pronto alla luce senza difetto
pupillare afferente relativo così come ben conservato è il photopic blink
reflex. Nella fase acuta/subacuta della malattia l’esame oftalmoscopico
evidenzia una tipica microangiopatia peripapillare, con vasi tortuosi e di
calibro irregolare attorno al disco ottico. La papilla è iperemica e lievemente
rilevata con pseudoedema delle fibre nervose; raramente si associano emorragie.
La fluorangiografia retinica esclude la presenza di un vero edema della papilla
in quanto non è presente leakage di colorante. Il fascio papillomaculare è
precocemente coinvolto e se ne può già apprezzare la marcata riduzione quando
la metà nasale del nervo è ancora ipermica.
Nelle settimane successive la riduzione delle
fibre nervose si fa più diffusa e scompare la microangopatia peripapillare.
Negli stadi finali della malattia compare un pallore papillare diffuso (82%) o
limitato al settore temporale (17%) e lo strato delle fibre nervose diviene
invisibile (72%).
Dal punto di vista prognostico un recupero
della funzionalità visiva si realizza complessivamente nel 21% dei pazienti. Il
recupero visivo avviene progressivamente con contrazione dello scotoma e
ricomparsa di isole di visione al suo interno (fenestrazione). Una giovane età
di esordio sembra essere un fattore prognostico favorevole e la percentuale di
recupero è strettamente legata alla mutazione patogenetica presente. La mutazione 11778, la più frequente nella
popolazione, è quella associata alla più grave compromissione visiva e alla
minore probabilità di recupero funzionale. La 14484 è la seconda mutazione per
frequenza e comporta la migliore prognosi visiva; l’espressione fenotipica di
questa mutazione appare influenzata in modo significativo da altri fattori
epigenetici quali l’abuso di alcool e tabacco e svariate altre malattie
(intolleranza al glucosio, morbo di Crohn, deficit di B12, trauma cranico). La
mutazione 3460 è in posizione intermedia rispetto alle precedenti sia per
quanto riguarda la frequenza che la prognosi visiva; questi pazienti hanno la
maggiore incidenza di abuso di alcool e tabacco.
La malattia assume un decorso atipico e
generalmente meno grave nell’età pediatrica; nel bambino, infatti, può mancare
la fase acuta o una microangiopatia peripapillare rendendo difficile la
diagnosi differenziale con l’atrofia dominante di Kjer. In diversi studi,
inoltre, è stato descritto un buon recupero visivo indipendentemente dalla
mutazione del mtDNA presente.
Riguardo la diagnosi differenziale, sono
numerose le descrizioni di casi di LHON associati a quadri clinici suggestivi
di SM. Data l’eterogeneità di presentazione della Leber, sia in termini di età
dei pazienti che di caratteristiche cliniche, riteniamo che in ogni forma di
neuropatia ottica bilaterale in cui non sia possibile una diagnosi etiologica
definita si dovrebbe procedere all’analisi del mtDNA. Ciò è particolarmente
vero per le forme di neurite ottica atipica progressiva, in qualsiasi età essa
si manifesti, in cui manchino chiari segni di una patologia sistemica
associata; per le neuropatie ottiche ereditarie tipo malattia di Kjer; in casi
selezionati di atrofia ottica del bambino, anche nei primi anni di vita, se non
presenti altri segni di definite sindromi malformative.
ALTERAZIONI EXTRAOCULARI
Nella maggior parte dei pazienti con LHON
l’alterazione visiva è la sola manifestazione clinica significativa. In alcune
famiglie sono state però riscontrate anomalie di conduzione cardiaca (sindromi
da pre-eccitazione e prolungato intervallo QT), alterazioni muscoloscheletriche
e neurologiche (alterati riflessi, lieve atassia cerebellare, disordini del
movimento, neuropatie periferiche). Inoltre alcuni pazienti, soprattutto donne,
con LHON confermata con analisi genetico-molecolare, manifestano sintomi e
segni di sclerosi multipla (comprese le alterazioni del liquor e della sostanza
bianca evidenziate dalla RM) e allo stesso tempo manifestano la grave e
progressiva neuropatia ottica tipica della LHON. Il significato di tale
associazione non è ancora completamente chiaro: studi di popolazione non hanno
dimostrato una maggiore prevalenza delle mutazioni del mtDNA nei pazienti con
SM.
È
quindi possibile che
l’apparente associazione di LHON e SM sia non superiore alla semplice
prevalenza delle due malattie. Tuttavia una sottostante alterazione del mtDNA
potrebbe peggiorare la prognosi della neurite ottica nei pazienti con SM.
PATOGENESI
Si ritiene che la LHON sia causata dalla disfunzione del Complesso I. Una
visione semplificata del problema suggerisce che la ridotta efficienza
respiratoria comporti una ridotta sintesi di ATP e, di conseguenza, il
coinvolgimento di tessuti, come il nervo ottico, che hanno elevate richieste
ossidative. Tuttavia, l’interessamento specifico delle cellule ganglionari
retiniche e non dell’epitelio pigmentato e dei fotorecettori o di altri tessuti
è fonte di perplessità. Inoltre i vari studi biochimici hanno evidenziato solo
modeste variazioni nelle funzioni misurabili del Complesso I. La semplice spiegazione
bioenergetica della LHON non è quindi soddisfacente.
Misurazioni dei livelli specifici di attività del complesso I
in vari tessuti non hanno mostrato significative riduzioni per le mutazioni
11778 e 14484 mentre c’è una consistente diminuzione (circa 70%) nel caso della
mutazione 3460. Studi su cibridi con mutazioni della LHON hanno dimostrato un
rapporto inverso tra difetto respiratorio e attività del Complesso I. La
mutazione 3460 che causa la maggiore disfunzione del Complesso I determina la
minore disfunzione respiratoria. Al contrario il più severo deficit
respiratorio è stato registrato con la mutazione 11178 che provoca solo una
lieve disfunzione del Complesso I. La mutazione 14484 dimostra solamente una
modesta riduzione di attività respiratoria e una normale funzione del Complesso
I in accordo con il meno grave fenotipo clinico. Altri studi biochimici
evidenziano che le mutazioni della LHON interferiscono con l’interazione fra
Complesso I e i substrati Q determinando una cronica iperproduzione di specie
reattive dell’ossigeno (ROS). Quindi sia la deplezione energetica che lo stress
ossidativo potrebbero avere un ruolo importante nella patogenesi della LHON.
Sebbene nella maggioranza dei casi le mutazioni patogenetiche della LHON siano
omoplasmiche in tutti i soggetti correlati per via materna, solamente alcuni
individui manifestano la malattia. Le mutazioni LHON sono dunque necessarie ma
non sufficienti per lo sviluppo della neuropatia ottica.
È stata ipotizzata
l’influenza di fattori genetici nucleari
che possano interferire con il mtDNA; inoltre vari fattori ambientali
sono da tempo conosciuti come fattori di rischio per l’espressione della
malattia. Tra questi hanno particolare importanza alcool e tabacco che
determinano un aumento dei ROS, così come confermato da vari recenti studi.
La seconda domanda fondamentale nella
comprensione della LHON è quale meccanismo biochimico leghi una disfunzione
energetica generalizzata a un modello neurodegenerativo relativamente
specifico. Perché, cioè, il nervo ottico è così selettivamente coinvolto e
perché nel suo stesso contesto il fascio papillo-maculare subisce la gran parte
del danno? Una possibile spiegazione è che il nervo ottico sia particolarmente
sensibile a un deficit di produzione di ATP dato il suo continuo stato di
attività e l’elevato costo energetico del trasporto assonico.
È noto che la carenza
di ATP è in grado di rallentare detto trasporto; poiché i mitocondri stessi,
come d’altronde le proteine e i vari organuli citoplasmatici, devono essere
trasportati dal soma cellulare all’assone distale, un’interruzione del
trasporto assonico può portare a un collasso completo del sistema di trasporto
e a una conseguente disfunzione cellulare. Si realizzerebbe, dunque, un
circolo vizioso di ridotta energia--ridotto trasporto di mitocondri--ridotta
disponibilità locale di mitocondri--ridotta produzione locale di energia che,
in ultima analisi, conduce alla degenerazione cellulare. Le piccole fibre del
fascio papillo-maculare sarebbero più sensibili a causa del minore contenuto di
mitocondri e della scarsa mielinizzazione che ne riduce l’efficienza come
sistema di trasporto. Inoltre tali fibre hanno un elevato rapporto di area di
superficie/volume (il primo riflette il consumo di energia e il secondo la
capacità di mantenere le riserve energetiche sotto forma di mitocondri) e
questo le rende ulteriormente esposte alla carenza di ATP.
Un ruolo importante viene inoltre attribuito
alla lamina cribrosa, regione del nervo in cui gli assoni sono sottoposti a un
particolare stress energetico in quanto ancora sprovvisti di guaina mielinica e
obbligati a passare negli stretti spazi delimitati dalle septae delle lamina
stessa. Viene proposto che le mutazioni primarie del mtDNA determinino solo un
rallentamento del flusso assoplasmatico, particolarmente nella critica regione
della lamina cribrosa, senza che si giunga, però, a un completo blocco
funzionale delle cellule ganglionari retiniche. Ulteriori eventi fisiologici o
stress ambientali darebbero luogo, soprattutto nei soggetti anatomicamente
predisposti (con un “disc at risk”), a un più profondo rallentamento del
trasporto assonico fino al punto di precludere la normale funzione delle
cellule ganglionari di piccolo calibro. In tale ottica la microangiopatia
peripapillare nella fase presintomatica della LHON potrebbe essere secondaria
a un rigonfiamento degli assoni nella congesta regione della lamina che si poi
risolve nella fase acuta poichè la morte dei neuroni riduce l’affollamento
assonico. Il segnale biochimico della neurodegenerazione è verosimilmente
inviato nella fase della stasi assoplasmatica: la cellula inattiva è destinata
a morire, probabilmente attraverso la via dell’apoptosi.
COME SI CURA
Non esiste allo stato attuale una terapia che
sia dimostrata efficace nel trattamento della LHON, inclusi l’integrazione
vitaminica e di altri cofattori e l’uso di steroidi. In alcuni casi è stato
descritto un recupero visivo e neurologico con l’uso di idebenone, un analogo
del quinone ma è necessaria una più ampia esperienza per ottenere risultati
significativi. Molto promettenti sono anche le varie terapie di neuroprotezione
ma anche in questo caso si è ancora in attesa.
Alcune misure di profilassi, e in particolare
l’astensione dal fumo e dal consumo di alcolici, sono gli unici interventi
considerati sicuramente utili per prevenire la malattia.
MEDICI REFERENTI per questa malattia
presso Ospedale San Raffaele